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Una nuova sfida per una miglior conciliazione

Più diritti alle donne in campo professionale e più collaborazione agli uomini in campo familiare
Una nuova sfida per una miglior conciliazione

Nel nostro tempo uno dei nodi più difficili da sciogliere, sia in chiave personale che socioculturale, riguarda la regolamentazione dei tempi dedicati alla vita di famiglia e alla vita professionale.

Non è facile scoprire quale sia il punto di equilibrio necessario per raggiungere il benessere necessario per dare senso e significato alla nostra vita e alla vita delle persone che amiamo e di cui vogliamo prenderci cura.

Sgombrando il campo da ogni equivoco, vale la pena sottolineare che il problema riguarda sia gli uomini che le donne, ma certamente riflette maggiore complessità per le donne.

Secondo i dati dell’International labour office (ILO) le donne continuano ad avere tassi di partecipazione al mercato del lavoro più bassi e remunerazioni inferiori rispetto agli uomini, nonostante gli alti livelli di istruzione. Se si analizzano gli aspetti qualitativi si nota come le donne tendano a occupare posizioni professionali non strategiche, per cui il loro numero nelle carriere direttive continua a essere limitato.

Esiste tuttora un soffitto di vetro, spesso in contraddizione con regole e direttive universalmente proclamate, che rende oggettivamente molto difficile per loro raggiungere i vertici delle rispettive professioni e vedere riconosciuto, anche finanziariamente, il proprio impegno, alla pari con quello maschile.

Eppure occorre continuare a provarci, mettendo in gioco tutti i talenti che si posseggono e contando sulla solidarietà femminile. Le donne oggi vogliono “tutto”: una carriera di successo e una vita familiare felice. Ma per le donne trovare un equilibrio tra progetti familiari e carriera è ancora complicato, perché la gestione degli affari domestici e la cura dei figli prima e dei genitori anziani più tardi, ricadono in primo luogo su di loro che debbono stabilire di volta in volta le priorità tra lavoro e famiglia.

La maggioranza delle donne non desidera affatto abbandonare il lavoro per la famiglia, ma, devono comunque ridurre i loro impegni a favore della relazione di cura di chi ha più bisogno.

In alcuni casi progettano un impegno a tempo pieno solo quando i figli saranno abbastanza grandi. Tutto questo va a scapito tanto della rapidità della carriera quanto dei livelli retributivi e non di rado trascina un diffuso malessere che assume i toni e le sfumature della insoddisfazione e della frustrazione, sia a casa che nel lavoro. Le responsabilità di cura, declinate come esigenze di flessibilità e di autonomia, sono motivazioni importanti nello spingere le donne a rallentare la propria carriera, ma ciò non accade senza rimpianti. Il paradosso è che pur avendo accettato “liberamente” questi vincoli, scegliendo la famiglia come priorità, quando si protraggono nel tempo e vengono meno alcuni aspetti remunerativi sul piano affettivo e non solo economico, se ne pentono. E, sia pure a distanza di tempo, la loro motivazione si affievolisce. Per esempio quando il marito, o in molti casi il compagno, non collabora nella gestione domestica, quando chiedere soldi per spese essenziali come il far la spesa, suscita resistenze e recriminazioni, quando i figli reagiscono il modo sgarbato, indifferente o violento o aggressivo alle sollecitazioni materne, tutto sembra concorrere a far dire: Ma chi me lo ha fatto fare… E la donna si pente di aver sacrificato piani e progetti personali perché non trova la giusta corrispondenza nelle persone a cui si è dedicata.

È un circuito insidioso, per cui ognuno è responsabile di mantenere una soglia alta della generosità altrui attraverso la propria gratitudine.

Nel mondo, in tutto il mondo, sono principalmente le donne, e di solito soltanto loro, a prendersi cura delle persone in condizioni di fragilità, senza essere retribuite e senza che tali attività vengano considerate come una forma di lavoro vero e proprio. A volte il doversi prendere cura dei bisogni degli altri impedisce di dedicarsi a ciò che desidererebbero fare in altri ambiti di vita, compresa un’occupazione più e meglio remunerata.

Recentemente stiamo assistendo ad un interessante effetto di creatività femminile, per cui le donne stanno trasformando i compiti di cura in una vera e propria attività professionale.

Il fenomeno del self-employment, lavoro autonomo in italiano, è salito alla ribalta degli studi sull’occupazione femminile. Le donne che hanno avviato una propria piccola impresa hanno parlato di migliore possibilità di bilanciare lavoro e responsabilità familiari, diventando agenti del cambiamento, padrone della propria vita.

Per motivare l’assenza delle donne dai livelli più alti della professione è stata avanzata la cosiddetta teoria delle preferenze: una teoria che si rifà alle differenze tra uomini e donne, con i primi impegnati a gestire la res publica, e le seconde a curare la sfera privata. Ma anche in questo caso i condizionamenti culturali possono giocare un peso tutt’altro che irrilevante.

Non basta fornire alle donne l’istruzione e la formazione necessarie per entrare nel mercato del lavoro, occorre assicurare loro nuove e più concrete modalità per integrare vita professionale e vita famigliare contando su di una rete di servizi capillare ed efficace, che inizia con una maggiore collaborazione del marito.

Il DL 105/2022: Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, introduce per legge il congedo parentale dei padri; questo dovrebbe migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita privata attraverso una maggiore condivisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e una effettiva parità di genere in ambito lavorativo e familiare.

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